IL CORAGGIO

Una mostra a cura di DON ALESSIO GERETTI A ILLEGIO

 Una mostra spettacolare e impressionante, un viaggio entusiasmante nell’arte tra racconti appassionati di ardue sfide e di eroiche virtù, palesi o nascoste: il coraggio, la nuova mostra di Illegio, colpisce mente e cuore e stupisce per la straordinaria concentrazione di bellezza. Quaranta capolavori, tra dipinti e sculture—undici provenienti da collezioni segrete -, selezionati per altissima qualità e dispiegati a tracciare un percorso che parte dal Medioevo e giunge alla metà del Novecento.
Vibrante e avvincente il tema: la virtù del coraggio, una forza che anima e rianima persone e popoli e che l’arte ha stupendamente celebrato, insegnato e meditato. Illegio ha scelto il coraggio anzitutto perché nell’ora presente lo scenario mondiale, critico e confuso, patisce acutissimamente per il coraggio deformato di numerosi folli e per mancanza di coraggio di numerosi irresponsabili. E poi, il coraggio è l’anima delle grandi scelte, della condotta di chi non si adatta all’immoralità e di chi non si piega ai ricatti, di chi parte per nuovi scenari, di chi genera vita. Perfino l’amore senza coraggio non arriva a maturità.

Come parrocchia andremo a visitarla a settembre.
A breve riceverete informazioni per le iscrizioni.

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Una ecologia del cuore
L’atteggiamento di Gesù, che osserviamo nel Vangelo della liturgia odierna (cfr. Mc 6,30-34), ci aiuta a cogliere due aspetti importanti della vita. Il primo è il riposo. Agli apostoli, che tornano dalle fatiche della missione e con entusiasmo si mettono a raccontare tutto quello che hanno fatto, Gesù rivolge con tenerezza un invito: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (v. 31). Invita al riposo.
Così facendo, Gesù ci dà un insegnamento prezioso. Anche se gioisce nel vedere i suoi discepoli felici per i prodigi della predicazione, non si dilunga in complimenti e domande, ma si preoccupa della loro stanchezza fisica interiore. E perché fa questo? Perché li vuole mettere in guardia da un pericolo, che è sempre in agguato anche per noi: il pericolo di lasciarsi prendere dalla frenesia del fare, cadere nella trappola dell’attivismo, dove la cosa più importante sono i risultati che otteniamo e il sentir­ci protagonisti assoluti. Quante volte accade anche nella Chiesa: siamo indaffarati, corriamo, pensiamo che tutto dipenda da noi e, alla fine, rischiamo di trascurare Gesù e torniamo sempre noi al centro. Per questo Egli invita i suoi a riposare un po’ in disparte, con Lui. Non è solo riposo fisico, è anche riposo del cuore. Perché non basta “staccare la spina”, occorre riposare davvero. E come si fa questo? Per farlo, bisogna ritornare al cuore delle cose. fermarsi, stare in silenzio, pregare, per non passare dalle corse del lavoro alle corse delle ferie. Gesù non si sottraeva ai bisogni della folla, ma ogni giorno, prima di ogni cosa, si ritirava in preghiera, in silenzio, nell’intimità con il Padre. Il suo tenero invito — riposatevi un po’ — dovrebbe accompagnarci: guardiamoci, fratelli e sorelle, dall’efficientismo, fermiamo la corsa frenetica che detta le nostre agende. Impariamo a sostare, a spegnere il telefonino, a contemplare la natura, a rigenerarci nel dialogo con Dio.
Tuttavia, il Vangelo narra che Gesù e i discepoli non possono riposare come vorrebbero. La gente li trova e accorre da ogni parte. A quel punto il Signore si muove a compassione. Ecco il secondo aspetto: la compassione, che è lo stile di Dio. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Quante volte nel Vangelo, nella Bibbia, troviamo questa frase: «Ebbe compassione». Commosso, Gesù si dedica alla gente e riprende a insegnare (cfr. vv. 33-34). Sembra una contraddizione, ma in realtà non lo è. Infatti, solo il cuore che non si fa rapire dalla fretta è capace di commuoversi, cioè di non lasciarsi prendere da sé stesso e dalle cose da fare e di accorgersi degli altri, delle loro ferite, dei loro bisogni. La compassione nasce dalla contemplazione. Se impariamo a riposare davvero, diventiamo capaci di compassione vera; se coltiviamo uno sguardo contemplativo, porteremo avanti le nostre attività senza l’atteggiamento rapace di chi vuole possedere e consumare tutto; se restiamo in contatto con il Signore e non anestetizziamo la parte più profonda di noi, le cose da fare non avranno il potere di toglierci il fiato e di di­vorarci. Abbiamo bisogno — sentite questo —, abbiamo bisogno di una “ecologia del cuore”, che si compone di riposo, contemplazione e compassione. Approfittiamo del tempo estivo per questo!
E ora, preghiamo la Madonna, che ha coltivato il si­lenzio, la preghiera e la contemplazione, e si muove sempre a tenera compassione per noi suoi figli.

 Papa Francesco

 

 

INSIEME N°30-31/2024

S.S. Messe e Celebrazioni
Clicca qui e scarica Foglietto Insieme n°30-31/2024

DOMENICA 21: XVI del Tempo Ordinario, verde
A Basiliano: ore 7.30, Canto delle Lodi mattutine.
SS. Messe Festive: ore 9.00, a Orgnano; ore 10.00, a Vissandone; ore 11.15, a Basiliano e Blessano.
BASAGLIAPENTA: ore 10.00, S. Messa con Festa della dedicazione.
VARIANO: ore 10.00, S. Messa con Festa di S. Luigi e processione.
VILLAORBA: ore 11.15, S. Messa con Festa della dedicazione.

LUNEDÌ 22 : S.MARIA MADDALERNA, Festa, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, a Variano.

MARTEDÌ 23: S.BRIGIDA, religiosa, Patrona d’Europa, Festa, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, a Basagliapenta.

MERCOLEDÌ 24: Messa della Feria, verde
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Villaorba.

GIOVEDÌ 25: S. GIACOMO, apostolo, Festa, rosso
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Vissandone.

VENERDÌ 26:  Ss. Gioacchino e Anna, genitori della beata Vergine Maria, memoria, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Blessano.

SABATO 27: Messa della Feria, verde
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine.
S.Messe prefestive: ore 17.30, a Orgnano; ore 18.30, a Basiliano.
– VILLAORBA: ore 18.00, S. Messa con Celebrazione di un 60^ anniversario.

DOMENICA 28: XVII del Tempo Ordinario, verde
A Basiliano: ore 7.30, Canto delle Lodi mattutine.
SS. Messe Festive: ore 9.00, a Orgnano; ore 10.00, a Basagliapenta, Variano e Vissandone; ore 11.15, a Blessano e Villaorba.
BASILIANO: ore 11.15, S. Messa con Festa della dedicazione.

LUNEDÌ 29 : Ss. Marta, Maria e Lazzaro, Memoria, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, a Variano.

MARTEDÌ 30: Messa della Feria, verde
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine;ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, a Basagliapenta.

MERCOLEDÌ 31: S. Ignazio di Loyola, presbitero, memoria, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Villaorba.

GIOVEDÌ 01 agosto: S. Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa, Memoria, bianco
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Vissandone.

VENERDÌ 02:  Messa della Feria, verde
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messa serale: ore 18.30, Blessano.

SABATO 03: Messa della Feria, verde
A Basiliano: ore 7.00, Lodi mattutine; ore 7.30, S. Messa.
S.Messe prefestive: ore 17.30, a Orgnano; ore 18.30, a Basiliano.

DOMENICA 04: XVIII del Tempo Ordinario, verde
A Basiliano: ore 7.30, Canto delle Lodi mattutine.
SS. Messe Festive: ore 9.00, a Orgnano; ore 10.00, a Basagliapenta, Variano e Vissandone; ore 15, a Basiliano, Blessano e Villaorba.

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Il volto della missione 
Il Vangelo di oggi (cfr. Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, «perché stessero con lui» (Mc 3,14) ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per «mandarli a due a due» (6,7) nei villaggi dove Lui stava per recarsi. È una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.
Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto.
Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù. Il racconto lo indica usando una serie di verbi che hanno Lui per soggetto — «chiamò a sé», «prese a mandarli», «dava loro potere», «ordinò», «diceva loro» (vv. 7.8.10) —, cosicché l’andare e l’operare dei Dodici appare come l’irradiarsi da un centro, il riproporsi della presenza e dell’opera di Gesù nella loro azione missionaria. Questo manifesta come gli apostoli non abbiano niente di proprio da annunciare, né proprie capacità da dimostrare, ma parlano e agiscono in quanto “inviati”, in quanto messaggeri di Gesù.
Questo episodio evangelico riguarda anche noi, e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E an­che per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.
La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire, un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l’ordine di «non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura» (v. 8). Il Maestro li vuole liberi e leg­geri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della sua Parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del Regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée. Pensiamo, ad esempio, a questa diocesi del­la quale io sono il Vescovo. Pensiamo ad alcuni santi di questa diocesi di Roma: san Filippo Neri, san Benedetto Giuseppe Labre, sant’Alessio, santa Ludovica Albertini, santa Francesca Romana, san Gaspare Del Bufalo e tanti altri. Non erano funzionari o imprenditori, ma umili lavoratori del regno.
Avevano questo volto. E a questo “volto” appartiene anche il modo in cui viene accolto il messaggio: può infatti accadere di non essere accolti o ascoltati (cfr. v. 11). Anche questo è povertà: l’esperienza del fallimento. La vicenda di Gesù, che fu rifiutato e crocifisso, prefigura il destino del suo messaggero. E solo se siamo uniti a Lui, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell’evangelizzazione.
La Vergine Maria, prima discepola e missionaria della Parola di Dio, ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo in una esultanza umile e radiosa, oltre ogni rifiuto, incomprensione o tribolazione.

Papa Francesco

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Il Vangelo che leggiamo nella liturgia di questa domenica (cfr. Mc 6,1-6) ci racconta l’incredulità dei compaesani di Gesù. Egli, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ripassa da Nazaret, dove era cresciuto con Maria e Giuseppe; e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga. Molti, ascoltandolo, si domandano: «Da dove gli viene tutta questa sapienza? Ma non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che cono­sciamo bene?» (vv. 1-3). Davanti a questa reazione, Gesù afferma una verità che è entrata a far parte anche della sapienza popolare: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Lo diciamo tante volte.
Potremmo dire che i suoi compaesani conoscono Gesù, ma non lo riconoscono. C’è differenza tra conoscere e riconoscere. In effetti, questa differenza ci fa capire che possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta. Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona. È un rischio che corriamo tutti: pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo nei nostri pregiudizi. Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto! In realtà, non si sono mai accorti di chi è veramente Gesù. Si fermano all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù.
E qui entriamo proprio nel nocciolo del problema: quando facciamo prevalere /a comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare. E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre. E questo non basta con Dio. Ma senza apertura alla novità e soprattutto apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine. Cos’è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio. Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero.
Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Possiamo dire che non accettano lo scandalo dell’incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’incarnazione. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi.
Ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni. Invece Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana. E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo. Pensiamo a com’è il nostro cuore rispetto a questa realtà. Lo incontriamo nella normalità: occhi aperti alle sorprese di Dio, alla Sua presenza umile e nascosta nella vita di ogni giorno.

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Oggi nel Vangelo (cfr. Mc 5,21-43) Gesù si imbatte nelle nostre due situazioni più drammatiche, la morte e la malattia. Da esse libera due persone: una bambina, che muore proprio mentre il padre è andato a chiedere aiuto a Gesù, e una donna, che da molti anni ha perdite di sangue. Gesù si lascia toccare dal nostro dolore e dalla nostra morte, e opera due segni di guarigione per dirci che né il dolore né la morte hanno l’ultima parola. Ci dice che la morte non è la fine. Egli vince questo nemico dal quale non possiamo liberarci da soli.
Concentriamoci, però sulla guarigione della donna. Più che la sua salute, a essere compromessi erano i suoi affetti. Perché? Aveva perdite di sangue e perciò, secondo la mentalità di allora, era ritenuta impura. Era una donna emarginata, non poteva avere relazioni stabili, non poteva avere uno sposo, non poteva avere una famiglia e non poteva avere rapporti sociali normali perché era “impura”, una malattia che la rendeva “impura”. Viveva sola, con il cuore ferito. La malattia più grande della vita, qual è? Il cancro? La tubercolosi? La pandemia? No. La malattia più grande della vita è la mancanza di amore, è non riuscire ad amare. Questa povera donna era malata sì delle perdite di sangue, ma, per conseguenza, di mancanza di amore, perché non po­teva essere socialmente con gli altri. E la guarigione che più conta è quella degli affetti.
La storia di questa donna senza nome , nella quale possiamo vederci tutti, è esemplare. Il testo dice che aveva fatto molte cure, «spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando» (v. 26). Anche noi, quante volte ci buttiamo in rimedi sbagliati per saziare la nostra mancanza di amore? Pensiamo che a renderci felici siano il successo e i soldi, ma l’amore non si compra, è gratuito. Ci rifugiamo nel virtuale, ma l’amore è concreto. Non ci accettiamo così come siamo e ci nascondiamo dietro i trucchi dell’esteriorità, ma l’amore non è apparenza. Cerchiamo soluzioni da maghi, da santoni, per poi trovarci senza soldi e senza pace, come quella donna. Lei, finalmente, sceglie Gesù e si butta tra la folla per toccare il mantello, il mantello di Gesù. Quella donna, cioè, cerca il contatto diretto, il contatto fisico con Gesù. Soprattutto in questo tempo, abbiamo capito quanto siano importanti il contatto, le relazioni. Lo stesso vale con Gesù: a volte ci accontentiamo di osservare qualche precetto e di ripetere preghiere, ma il Signore attende che lo incontriamo, che gli apriamo il cuore, che, come la donna, tocchiamo il suo mantello per guarire. Perché, entrando in intimità con Gesù, veniamo guariti nei nostri affetti.
Questo vuole Gesù. Leggiamo infatti che, pur stretto dalla folla, si guarda attorno per cercare chi lo ha toccato. È lo sguardo di Gesù: c’è tanta gente, ma Lui va in cerca di un volto e di un cuore pieno di fede. Gesù non guarda all’insieme, come noi, ma guarda alla persona. Non si arresta di fronte alle ferite e agli errori del passato, ma va oltre i peccati e i pregiudizi. Tutti noi abbiamo una storia, e ognuno di noi, nel suo segreto, conosce bene le cose brutte della propria storia. Ma Gesù le guarda per guarirle. Invece a noi ci piace guardare le cose brutte degli altri. Quante volte, quando noi parliamo, cadiamo nel chiacchiericcio, che è sparlare degli altri, “spellare” gli altri.
Ma guarda: che orizzonte di vita è questo? Non come Gesù, che sempre guarda il modo di salvarci, guarda l’oggi, la buona volontà e non la storia brutta che noi abbiamo. Gesù va oltre i peccati. Gesù va oltre i pregiudizi, non si ferma alle apparenze, arriva al cuore Gesù. E guarisce proprio lei, che era scartata da tutti, un’impura.
Sorella, fratello, sei qui, lascia che Gesù guardi e guarisca il tuo cuore. Anch’io devo fare questo: lasciare che Gesù guardi il mio cuore e lo guarisca. E se hai già provato il suo sguardo tenero su di te, imitalo, e fai come Lui. Guardati attorno: vedrai che tante persone che ti vivono accanto si sentono ferite e sole, hanno bisogno di sentirsi amate: fai il passo. Gesù ti chiede uno sguardo che non si fermi all’esteriorità, ma vada al cuore; uno sguardo non giudicante — finiamo di giudicare gli altri — Gesù ci chiede uno sguardo non giudicante, ma accogliente. Apriamo il nostro cuore per accogliere gli altri. Perché solo l’amore risana la vita, solo l’amore risana la vita. E non giudicare, non giudicare la realtà personale, sociale, degli altri. Dio ama tutti! Non giudicare, lasciate vivere gli altri e cercate di avvicinarvi con amore.

 

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Bisognosi di Dio
Nella liturgia di oggi si narra l’episodio della tempesta sedata da Gesù (cfr. Mc 4,35-41). La barca su cui i discepoli attraversano il lago è assalita dal vento e dalle onde ed essi temono di affondare. Gesù è con loro sulla barca, eppure se ne sta a poppa sul cuscino e dorme. I discepoli, pieni di paura, gli urlano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38).
E tante volte anche noi, assaliti dalle prove della vita, abbiamo gridato al Signore: «Perché resti in silenzio e non fai nulla per me?». Soprattutto quando ci sembra di affondare, perché l’amore o il progetto nel quale avevamo riposto grandi speranze svanisce; o quando siamo in balia delle onde insistenti dell’ansia; oppure quando ci sentiamo sommersi dai problemi o persi in mezzo al mare della vita, senza rotta e senza porto. O ancora, nei momenti in cui viene meno la forza di andare avanti, perché manca il lavoro, oppure una diagnosi inaspettata ci fa temere per la salute nostra o di una persona cara. Sono tanti i momenti nei quali ci sentiamo in una tempesta, ci sentiamo quasi finiti.
In queste situazioni e in tante altre, anche noi ci sentiamo soffocare dalla paura e, come i discepoli, rischiamo di perdere di vista la cosa più importante. Sulla barca, infatti, anche se dorme, Gesù c’è, e condivide con i suoi tutto quello che sta succedendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall’altra ci mette alla prova. Il Signore è lì, presente; infatti, attende — per così dire — che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui. Sentite questo: bisogna gridare a Lui. La preghiera, tante volte, è un grido: «Signore, salvami!». Stavo vedendo, nel programma “A Sua immagine”, oggi, Giorno del Rifugiato, tanti che vengono in barconi e nel momento di annegare gridano: «Salvaci!». Anche nella nostra vita succede lo stesso: «Signore, salvaci!», e la preghiera diventa un grido.
Oggi possiamo chiederci: quali sono i venti che si abbattono sulla mia vita, quali sono le onde che ostacolano la mia navigazione e mettono in pericolo la mia vita spirituale, la mia vita di famiglia, la mia vita psichica pure? Diciamo tutto questo a Gesù, raccontiamogli tutto. Egli lo desidera, vuole che ci aggrappiamo a Lui per trovare riparo contro le onde anomale della vita.
Il Vangelo racconta che i discepoli si avvicinano a Gesù, lo svegliano e gli parlano (cfr. v. 38). Ecco l’inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio. Quando vinciamo la tentazione di rinchiuderci in noi stessi, quando superiamo la falsa religiosità che non vuole scomodare Dio, quando gridiamo a Lui, Egli può operare in noi meraviglie.
È la forza mite e straordinaria della preghiera, che opera miracoli.
Gesù, pregato dai discepoli, calma il vento e le onde. E pone loro una domanda, una domanda che riguarda anche noi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40). I discepoli si erano fatti catturare dalla paura, perché erano rimasti a fissare le onde più che a guardare a Gesù. E la paura ci porta a guardare le difficoltà, i problemi brutti e non a guardare il Signore, che tante volte dorme. Anche per noi è così: quante volte restiamo a fissare i problemi anziché andare dal Signore e gettare in Lui i nostri affanni! Quante volte lasciamo il Signore in un an­golo, in fondo alla barca della vita, per svegliarlo solo nel momento del bisogno! Chiediamo oggi la grazia di una fede che non si stanca di cercare il Signore, di bussare alla porta del suo Cuore.
La Vergine Maria, che nella sua vita non ha mai smesso di confidare in Dio, ridesti in noi il bisogno vitale di affidarci a Lui ogni giorno.

Papa Francesco

 

SETTIMANALE DIOCESANO “LA VITA CATTOLICA”

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XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Le due parabole che oggi ci presenta la liturgia si ispirano proprio alla vita ordinaria e rivelano lo sguardo attento di Gesù, che osserva la realtà e, mediante piccole immagini quotidiane, apre delle finestre sul mistero di Dio e sulla vicenda umana. Così, ci insegna che anche le cose di ogni giorno, quelle che a volte sembrano tutte uguali e che portiamo avanti con distrazione o fatica, sono abitate dalla presenza nascosta di Dio, cioè hanno un significato. Allora, abbiamo bisogno pure noi di occhi attenti, per saper «cercare e trovare Dio in tutte le cose».
Gesù oggi paragona il Regno di Dio, cioè la sua presenza che abita il cuore delle cose e del mondo, al granello di senape, cioè al seme più piccolo che ci sia. Eppure, gettato in terra, esso cresce fino a diventare l’albero più grande. Così fa Dio. A volte, il frastuono del mondo insieme alle tante attività che riempiono le nostre giornate ci impediscono di fermarci e di scorgere in quale modo il Signore conduce la storia. Eppure Dio è all’opera, al modo di un piccolo seme buono, che silenziosamente e lentamente germoglia. E, piano piano, diventa un albero rigoglioso, che dà vita e ristoro a tutti. Anche il seme delle nostre opere buone può sembrare poca cosa; eppure, tutto ciò che è buono, appartiene a Dio e dunque umilmente, lentamente porta frutto. Il bene cresce sempre in modo umile, in modo nascosto, spesso invisibile.
Con questa parabola Gesù vuole infonderci fiducia. In tante situazioni della vita, infatti, può capitare di scoraggiarci, perché vediamo la debolezza del bene rispetto alla forza apparente del male. E possiamo lasciarci paralizzare dalla sfiducia quando constatiamo che ci siamo impegnati, ma i risultati non arrivano e le cose sembrano non cambiare mai. Il Vangelo ci chiede uno sguardo nuovo su noi stessi e sulla realtà; chiede di avere occhi più grandi, che sanno vedere oltre, specialmente oltre le apparenze, per scoprire la presenza di Dio che come amore umile è sempre all’opera nel terreno della nostra vita e in quello della storia. Coltivare la fiducia di essere nelle mani di Dio e al tempo stesso impegnarci tutti per ricostruire e ricominciare, con pazienza e costanza.
Non dimentichiamo mai che i risultati della semina non dipendono dalle nostre capacità: dipendono dall’azione di Dio. A noi sta seminare, e seminare con amore, con impegno e con pazienza. Ma la forza del seme è divina. Lo spiega Gesù nell’altra parabola odierna: il contadino getta il seme e poi non si rende conto di come porta frutto, perché è il seme stesso a crescere spontaneamente, di giorno, di notte, quando lui meno se lo aspetta (cfr. vv. 26-29). Con Dio anche nei terreni più aridi c’è sempre speranza di germogli nuovi.

 

GIORNATA NAZIONALE DI SENSIBILIZZAZIONE

Domenica 5 maggio 2024
Giornata nazionale di sensibilizzazione
dell’8xmille alla Chiesa Cattolica “Una firma che fa bene

Molti pensano che la Chiesa sia sostenuta dal Vaticano o sia ricca… in verità non è così!
La chiesa dipende totalmente ogni anno dalle offerte della propria comunità, in particolare dai fondi provenienti dall’8xmille. Fondi che negli ultimi anni sono in costante diminuzione a causa del calo delle persone che firmano a favore della Chiesa Cattolica. Pensate che il 45% delle persone che partecipano alle funzioni domenicali non firmano!
Infatti, sono in tanti coloro che non lo fanno perché non sanno che ne hanno la possibilità o perché non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi (come tanti anziani pensionati della nostra comunità). Pochi sanno che i contribuenti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione possono ugualmente effettuare la scelta per la destinazione dell’8xmille dell’Irpef. È un gesto semplice, che non costa niente, che non toglie nulla dalle tasche di chi lo compie, eppure è tanto prezioso, è “Una firma che fa bene!”.
Non solo, ma è anche “Una firma che fa anche IL BENE“, destinata a sostenere le attività pastorali della chiesa, la carità verso tutte le forme di povertà, la custodia del patrimonio artistico e culturale delle nostre parrocchie. La Chiesa ogni anno finanzia migliaia di progetti in tutta Italia a sostegno delle comunità, come la nostra.
La chiesa ha bisogno di noi oggi più che mai! Perché con la nostra firma potremo continuare ad essere protagonisti nel sostenere i valori e l’attività della Chiesa Cattolica in Italia.
Con la nostra firma permetteremo alla Chiesa di fare migliaia di gesti d’amore.
Ricordiamoci di firmare e far firmare: quest’anno sarà possibile farlo fino al 15 ottobre. Impegniamoci – davvero tutti — in prima persona a far firmare per l’8xmille alla Chiesa Cattolica. Ricordiamolo ai nostri familiari, amici, conoscenti, membri delle associazioni o dei movimenti e a tutti coloro che riconoscono l’attività della nostra Chiesa Cattolica.

Grazie infinite!